Scienza aperta: come comincio?

Chi volesse addentrarsi nel mondo della ricerca aperta si troverebbe immediatamente spiazzato dal numero di informazioni disponibili sulla Rete relativamente a questo tema. Il numero ormai altissimo di piattaforme, repositorysoftware di condivisione, studi e associazioni che si occupano di ricerca condivisa rende complesso orientarsi, in special modo nell’ambito delle scienze umane, la cui natura prettamente ‘immateriale’ moltiplica le risorse a disposizione. Per questo, la prima difficoltà, per lo studioso di Humanities che vuole concretamente fare scienza aperta, è capire come e da dove cominciare.

La prima difficoltà, per lo studioso di Humanities che vuole concretamente fare scienza aperta, è capire come e da dove cominciare

In questo articolo propongo una rapida guida per cominciare, da zero e in pochi minuti, ad ‘aprire’ la propria ricerca e, di seguito, un breve ‘diario’, il racconto in sintesi di un processo che, dall’idea di un paper, porta alla sua realizzazione e condivisione online.

 

Cosa usare? Cominciamo con Google Docs

Diverse piattaforme, come per esempio Hypothes.is o Collabora, permettono la condivisione del lavoro su documenti e file di testo. Il modo più semplice, gratuito e veloce per cominciare a condividere la propria ricerca restano però i Google Documents (qui la guida Google su come usare questo strumento). L’unico passaggio preliminare necessario è la creazione di un account Gmail gratuito (è possibile anche associare il proprio indirizzo di posta elettronica a un account Gmail; ecco ⇒ il link da cui partire).

Il modo più semplice, gratuito e veloce per cominciare a condividere la propria ricerca sono i Google Documents

 

Creare un Doc su Google Docs

Una volta creato l’account (usando ⇒ questo link) è possibile inserire le credenziali ed entrare nella schermata di Google Docs; cliccando sull’icona che permette di aggiungere un file ‘vuoto’ si è già nel word processor. E’ fondamentale tener presente, nel lavorare su questi file, due caratteristiche che li rendono diversi dai normali word processor che usiamo offline.

a) Il file non va salvato; la piattaforma registra ogni cambiamento in tempo reale. L’unica accortezza è dare al file un nome, cliccando in alto a sinistra dove c’è scritto ‘Documento senza titolo’;

b) Il fatto che la piattaforma salvi automaticamente il file non solo garantisce che nulla vada perso ma che ogni modifica venga registrata. Così, dopo giorni di lavoro, se provassimo a cliccare sul link ‘L’ultima modifica è stata apportata xxxx’, ci ritroveremmo nella parte della ‘Cronologia’, dove potremmo consultare tutte le versioni del nostro file e, eventualmente, recuperare quelle vecchie.

 

Condividere il Doc

Una volta realizzato il file, posso decidere chi ha diritto di leggere e, eventualmente, commentare il mio paper (questa scelta può essere sempre modificata nel corso del lavoro). Cliccando sull’icona in alto a destra ‘Condividi’, è possibile scegliere tra diverse alternative, sia in termini di vastità della community sia di tipologia di autorizzazione. E’ cioè possibile decidere chi può fare cose sul nostro file e quali cose può fare (sostanzialmente tre: leggere, commentare e modificare il testo). L’opzione più ‘aperta’ si ottiene ovviamente selezionando, nel menù a tendina ‘Accesso generale’, la voce ‘Chiunque abbia il link’ e stabilendo cosa possano fare quelli che arrivano sulla pagina, e cioè leggere il contenuto (‘Visualizzatore’), commentarlo (‘Commentatore’) o modificarlo (‘Editor’). In questo caso, chiunque è in possesso del link del vostro paper può, appunto, intervenire nella misura in cui voi lo avete concesso. Questa opzione rende più complicato capire la vastità della community che potenzialmente dialogherà con voi. Se anche infatti inviaste il link alle sole persone delle quali vi interessa il feedback, nulla vieterrebbe loro di condividerlo con altri; avendo scelto l’opzione ‘Chiunque abbia il link’, chiunque – appunto – in possesso del link potrà compiere le azioni che avete specificato (leggere, commentare o modificare). Se volete essere sicuri di interagire con una cerchia ristretta, dovete usare, nella stessa finestra di condivisione, l’opzione ‘Aggiungi persone o gruppi’. In questo caso, potrete inserire l’indirizzo email di un utente, e deciderne il ruolo (sempre Visualizzatore, Commentatore o Editor) o indicare un Google Group, cioè un Gruppo creato da voi nel quale inserite di volta in volta gli utenti che vi interessano (qui la guida Google per la creazione di gruppi)

 

Usare i miei documenti
Un’altra opzione di Google Docs è l’importazione di documenti. Se ho già scritto, in tutto o in parte, il mio paper usando il mio word processor, producendo per esempio un file .doc, posso importarlo in Google Docs e, da lì, condividerlo. Nella schermata di Google Drive dove sono elencati tutti i documenti che ho creato (la si può raggiungere ⇒ a questo link), basta scegliere ‘Nuovo’ e, di lì, ‘Caricamento file’ per selezionare il file sul nostro computer.

 

Lo studio di vetro

Ora che il nostro file condiviso è creato, è il momento di comninciare a lavorare. Che la scienza sia aperta o chiusa, il problema che da sempre accompagna chi fa ricerca è cominciare a scrivere. E’ innegabile che, rispetto al passato, l’uso dei word processor renda questa fase molto più semplice; è infatti possibile cominciare a scrivere, senza  preoccuparsi né che quello che abbiamo prodotto sia necessariamente l’inizio del lavoro né che alla fine ne farà parte. E’ una traccia, un modo per difendersi dal bianco vuoto del voglio elettronico e buttare giù qualche idea. Alcuni fanno uno schema degli argomenti da trattare, altri un elenco della bibliografia letta o da leggere; nella fase iniziale ci si può concedere una magmaticità da rimettere poi in ordine in futuro. Già qui però, nel processo di ‘apertura’ della mia ricerca, va presa una decisione iniziale, e cioè se anche di questa fase di brainstorming individuale vada lasciata traccia nella condivisione. Se infatti vogliamo che i nostri lettori possano consultare tutte le versioni del nostro lavoro, dai primi appunti sul foglio bianco alla versione che riteniamo definitiva, possiamo cominciare da subito a lavorare direttamente sul file condiviso. Un Google Doc, come detto, tiene infatti traccia di tutte le nostre modifiche; l’utente che volesse consultare l’intera cronologia del file potrebbe capire da dove siamo partiti, quale è stato il primo appunto, cosa abbiamo inserito, come e così via. In questo caso, quello che stiamo condividendo non è solo il risultato ma il processo; aprire il nostro paper mentre lo stiamo realizzando significa mostrare materialmente come lavoriamo, con che ritmi, con quali aggiustamenti in corso, creando una specie di ‘studio di vetro’ che permette a chiunque di osservarci alla scrivania intenti a buttare giù le nostre idee.

Aprire il nostro paper mentre lo stiamo realizzando significa mostrare materialmente come lavoriamo, con che ritmi, con quali aggiustamenti in corso, creando una specie di ‘studio di vetro’ che permette a chiunque di osservarci alla scrivania intenti a buttare giù le nostre idee

 

Pubblic(izz)are

Poniamo però di non essere ancora pronti a questa forma di ‘voyeurismo’ o, meglio ancora, di non voler per principio far entrare nessuno nella fase iniziale della nostra elaborazione personale.  Possiamo cominciare a lavorare sul nostro file separatamente,  offline sul nostro computer e poi, quando ha raggiunto una forma che almeno parzialmente ci convince, caricarlo come Google Docs e condividerlo (lo abbiamo spiegato nel paragrafo ‘Usare i miei documenti‘).

E’ ovvio che, per condividere un file, non basta aprire il Doc al commento di tutti ma è necessario che tutti quelli che noi riteniamo potenzialmente interessati (e utili per noi con i loro feedback) vengano a sapere che il file c’è ed è leggibile, commentabile o modificabile. Per ottenere questo risultato, possiamo muoverci su due tipologie di ‘socializzazione’ del nostro paper, vale a dire i social ‘generalisti’ e quelli specifici per la ricerca.

 

Social generalisti e di settore
La scienza aperta, se per un verso rappresenta la concreta opportunità di far progredire la propria ricerca, perché la migliora costantemente grazie all’apporto dei feedback della community, per un altro ha un evidente aspetto valoriale; si propone cioè come attività-manifesto di un certo modo di intendere la ricerca, la vita della comunità scientifica, la pubblicazione, la valutazione. Questi due aspetti vengono perfettamente esemplificati dalle due tipologie di social utilizzabili per diffondere un prodotto ‘aperto’. Per un verso, infatti, va coinvolta con le sue competenze la comunità scientifica; per un altro, va promosso, diremmo nella società civile, il valore di quella attività. Nel primo caso, vanno dunque usati social di settore; nel secondo, quelli generalisti.

I social di settore, vale a dire le piattaforme grazie alle quali gli studiosi condividono con la comunità scientifica il progredire dei loro lavori, sono spesso differenziati in relazione alla tipologia di prodotto che viene diffuso. In generale, per diffusione e ampiezza, possiamo elencare,per le Humanities, quattro piattaforme.

Academia.edu (qui ⇒ il link per registrarsi) è un vero e proprio sito-vetrina per le proprie pubblicazioni, con la creazione di un proprio website nella forma ‘vostronomecognome.academia.edu’. Permette di inserire estratti  o full text e fare ricerche sulla produzione di altri studiosi. Per questo come per gli altri social di settore, è ovviamente particolarmente lunga la fase iniziale di costruzione del profilo, con l’inserimento dei dati e delle pubblicazioni.
Reserchgate (qui ⇒ il link) è invece un social direttamente collegato con le istituzioni di ricerca. Per registrarsi è sufficiente inserire la propria istituzione di afferenza (per esempio Ateneo e Dipartimento) e i dati di contatto. Reserchgate è, come dice il nome stesso, maggiormente orientata a registrare e condividere attività di ricerca in corso, così da convogliare l’interesse di studiosi del settore.
ORCID (qui ⇒ il link) è una organizzazione collegata con le diverse istituzioni accademiche e che fornisce, tra gli altri servizi, un id, vale a dire un identificativo unico per ogni ricercatore. Anche in questo caso è possibile costruire un profilo personale, indicando i campi di interesse, il curriculum, le pubblicazioni e le attività di ricerca. Orcid permette di fare l’upload della propria bibliografia da siti o da file, come BibTex (formato nel quale è possibile per esempio esportare le pubblicazioni dal proprio profilo IRIS).
Google Scholar (qui ⇒ il link) è un motore di ricerca specificatamente dedicato ai paper scientifici. Costruire un profilo (al link ‘Il mio profilo’) è semplice e immediato e permette di specificare la paternità dei propri contributi.

Più complesso e articolato è  invece il discorso relativo ai social network ‘generalisti’. In quel caso, informare gli utenti dell’avanzamento del proprio lavoro non ha come prima finalità costruire una comunità per collaborare (anche se social come Twitter e Linkedin sono certamente più ‘professionali’ nell’utenza di Facebook o Instagram) ma diffondere un modello, testimoniare cioè, a un pubblico più vasto, l’esistenza di una attiva e concreta best practice nella ricerca aperta. La complessità di questa forma di condivisione sta nel lavoro preliminare necessario a capire come funzionano i diversi ‘canali’ e a preparare i contenuti. Immaginare infatti i social network come dei luoghi nei quali inserire semplicemente il link ai nostri prodotti rende quella forma di condivisione inutile. Gli utenti dei social restano nel posto in cui sono e non vogliono essere rimandati ad altri siti o collegamenti; è necessario allora produrre contenuti che siano di per sè attrattivi e interessanti e che, eventualmente, spingano dopo l’utente a proseguire nella lettura su altre piattaforme.

 

Un piccolo diario di lavoro

Come applicare concretamente tutte queste informazioni? Ecco il racconto di una attività di produzione di un contenuto svolta in modalità ‘aperta’.
L’obiettivo del mio lavoro era scrivere il testo per una relazione dal titolo ‘Il tempo della conoscenza: esperienza individuale e scienza universale nell’alto Medioevo’ da tenere a Catania il 28 ottobre in occasione del Convegno La scienza e i suoi strumenti nell’antichità e nel Medioevo.

La prima fase del mio lavoro, vale a dire la stesura dell’abstract e della prima ‘pagina’ , si è svolta offline. Una volta conclusa questa fase, ho importato il mio file su Google Doc e l’ho inserito nella sezione ‘Paper per convegni’ della mia cartella di Living document condivisi. Allo stesso tempo, ho aggiunto l’informazione sul lavoro in corso su Reserchgate e Academia. Nel primo caso, non essendoci nella scheda ‘Conference’ lo spazio per il link, l’ho inserito alla voce ‘Volume’, che è comunque visibile sulla Home; nel caso di Academia è invece prevista la possibilità di una voce ‘link’.
La scelta di inserire il paper in una sottocartella della cartella più generale dei miei living documents  è funzionale a rendere accessibile il paper a quanti già sono in condivisione dei miei lavori precedenti. Nella prima pagina del file ho inserito il disclaimer che uso sempre e che chiarisce la relazione tra l’autore del testo e gli eventuali commentatori.

 

A questo punto, è cominciato il lavoro (tutt’ora in corso!) di scrittura del contributo che è possibile raggiungere nella cartella ‘Paper per Convegni’  nel repository dei miei living documents raggiungibile a questo link.